Il tartufo (genere Tuber) è un fungo ipogeo, che nasce e si sviluppa sottoterra. I tartufi sono relativamente rari, in quanto la loro crescita dipende da fattori stagionali, oltre che ambientali.
L’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali ed esportatori di tartufi. Nell’intera Penisola è possibile raccogliere tutte le specie di tartufo impiegate in gastronomia.
Esistono due grandi famiglie di tartufi: il Nero (meno pregiato, impiegato soprattutto in cucina e che cresce un po’ tutto l’anno) ed il Bianco (più pregiato, consumato soprattutto fresco e che cresce da settembre-ottobre, sino a gennaio se non si verificano nevicate troppo abbondanti). Dei Bianchi la specie Tuber Magnatum Pico è la più pregiata. A questa specie appartiene il Tartufo Bianco d’Alba che qui descriviamo
Tutto il Sud Piemonte, vale a dire Langhe, Roero, Monferrato, Monregalese e parte della provincia di Torino, è ricco di tartufi bianchi.
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Come gustare il Tartufo Bianco d’Alba nei nostri appartamenti
Offriamo ai nostri ospiti l’esperienza unica di poter gustare il prestigioso Tartufo Bianco d’Alba praticamente tutto l’anno ed a costi adatti a tutte le tasche
In stagione
Il Tartufo Bianco d’Alba è disponibile fresco da ottobre a dicembre, se non nevica abbondantemente. I tartufi migliori sono quelli che maturano nell’ultimo quarto della luna di Novembre e possono essere acquistati presso negozi specializzati o direttamente dai trifulau (i cercatori di tartufi) nei giorni di mercato, alla loro apertura o possiamo provvedervi direttamente noi, previo contatto ovviamente. I prezzi possono fluttuare anche sensibilmente da settimana a settimana in funzione della disponibilità.
Il nostro suggerimento è di acquistare direttamente il Tartufo Bianco d’Alba e di consumarlo presso l’appartamento mediante l’esecuzione di una delle tante ricette che meglio si adattano ad essere abbinate al tartufo. Al riguardo va tenuto presente che i piatti da abbinare al tartufo sono semplici sia come gusti che da cucinare. Meno elaborata sarà la ricetta scelta, più si riuscirà ad assaporare il gusto intenso e unico del tartufo. E allora ecco che anche i meno capaci in cucina potranno vantarsi di aver regalato un’emozione unica ai loro commensali.
Gli ingredienti per l’esecuzione delle ricette possono essere acquistati ai mercati settimanali o presso la comunità dei negozi commerciali.
Una soluzione più rapida e pratica è quella di acquistare direttamente i piatti già pronti presso la Macelleria Salumeria Gatronomia Rolfo & Rolfo.
All’abbinamento dei piatti coi vini si può fare riferimento al nostro frigo bar.
Fuori stagione
Per i periodi dell’anno in cui non è disponibile il Tartufo Bianco d’Alba fresco è possibile assaporarne gli aromi, certamente meno intensi, utilizzando il miele al tartufo presente nel nostro frigo bar.
Il miele al Tartufo bianoc d’Alba è un accostamento tanto originale quanto straordinario. Il tartufo, infatti, regala all’abbinamento col miele una nota preziosa e può essere gustato da solo o servito con formaggi stagionati quali Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino, Castelmagno o sui formaggi erborinati, oppure usato e per guarnire antipasti, arrosti, dessert e gelato.
Anche in questo caso ci si può orientare o al cimentarsi nell’esecuzione di qualche ricetta adatta al tartufo o all’acquisto di piatti pronti. Così come per l’abbinamento coi vini ci si può riferire al notro frigo bar.
Conservazione
Il tartufo bianco deve essere consumato fresco, perciò, suggeriamo di gustarlo entro pochi giorni dall’acquisto.
Va conservato in frigorifero nello spazio riservato alla verdura, avvolgendolo in carta tipo scotex che va sostituita ogni giorno e riporlo in un vasetto a chiusura ermetica oppure conservarlo immerso nel riso in un barattolo sempre a chiusura ermetica.
Il risultato di conservazione è lo stesso, ma se è stato immerso nel riso, finito il tartufo, si potrà sempre cucinare un risotto che conserverà il gusto del tartufo.
Ricette & Suggerimenti
Di seguito alcuni suggerimenti di piatti, con relativa ricetta, che esaltano gli aromi del tartufo
# Fonduta con tartufo bianco d’Alba
# Tegamino di uova e tartufo bianco d’Alba
# Rolatine al Taleggio e tartufo nero
Alcune idee per un menù al tartufo al Ristorante o fai da te e l’abbinamento coi vini
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Tutto sul Tartufo Bianco d’Alba
Sviluppo e crescita
Il tartufo è un fungo ipogeo, che vive sotto terra; ha un apparato radicale costituito da un intreccio spesso, fitto, ramificato e molto esteso di filamenti biancastri (ife) che si diffondono in vari substrati. Il frutto, a forma di tubero, è costituito da una massa carnosa, detta gleba, rivestita da una sorta di corteccia chiamata peridio. Le caratteristiche di struttura e il colore di queste parti permettono di distinguere facilmente i vari tipi di tartufo. Il tartufo è formato in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite l’apparato radicale dell’albero, con cui vive in simbiosi.
Il tartufo bianco d’Alba assume colorazioni diverse in rapporto alla pianta con cui vive e si sviluppa, variando dal bianco, a volte con venature rosate, al grigio tendente al marrone.
Dopo la sua formazione, il tartufo diventa un vero e proprio parassita, succhiando la linfa che la radice estrae dal terreno, ricavandone profumo, sapore e colore.
La stagione di maturazione va dalla fine di agosto a gennaio e ogni radice produce, in genere, un solo tartufo per anno, sempre che essa non venga tagliata dai cercatori durante la fase di raccolta o da coloro che zappano senza l’aiuto del cane e a caso.
Caratteristiche
Profumo
Il tartufo ha un profumo intenso con toni che ricordano il tetraidrotiofene (utilizzato per l’odorizzazione del gas metano destinato alla distribuzione domestica) o il formaggio fermentato. Il tartufo col profumo più persistente è quello cresciuto a contatto con la quercia. Mentre più aromatico e chiaro è quello del tiglio.
Forma
La sua forma, per lo più tondeggiante, dipende invece dalla natura del terreno: se questo è soffice diventerà più liscio, se al contrario è compatto, dovrà faticare a farsi spazio e diventerà bitorzoluto e nodoso.
L'ambiente e le piante
L’ambiente ideale del tartufo bianco d’Alba è il bosco di querce, ma lo si può trovare anche lungo sponde di corsi d’acqua o fossati popolati di salici e di pioppi, nei giardini e nei viali di tigli.
Ovviamente occorre un terreno adatto: ideale è quello calcareo, oppure argilloso-calcareo con presenza di silice. Ha pure importanza l’altitudine: è molto raro oltre i 600-700 metri.
Ma il tartufo è imprevedibile: può nascere ovunque si trovi l’apparato radicale di un albero ad esso congeniale. Anche in una vigna, dove un palo di salice o di quercia abbia attecchito grazie alle risorse infinite della natura. I terreni umidi, ricchi di vegetazione, poco esposti al sole sono però i più adatti, i più ricchi di sorprese.
La provincia di Cuneo ha un ambiente tartufigeno per eccellenza e di gran pregio, la cui delimitazione può essere solo approssimativa. La linea di confine, molto labile, coincide con l’autostrada Torino-Savona sino a Ceva e con il fiume Tanaro, in sponda destra, da Ceva al confine con la provincia di Imperia. Tipiche e pregiate sono le colline del Roero che si delineano ai margini della pianura torinese, la Langa albese e monregalese e la zona del Cebano.
Le piante che producono tartufo sono:
- querce
- tigli
- pioppi
- salici (selvatici e domestici)
- gure
- nocciole selvatiche
- sambuchi
- sanguin (che vanno in simbiosi con le radici di altre piante).
In cucina
Il tartufo è l’indiscusso protagonista della cucina albese, che è, per l’appunto, una cucina d’autunno.
Una cucina dai sapori forti e dai profumi intensi, accompagnati da nobili vini. E, su tutto, il tartufo: il profumo di una stagione
La cucina albese lo serve crudo; affettato con il tagliatartufi: squisito sui cibi caldi e con sughi leggeri; ideale sulla fonduta, con tajarin e sui risotti alla piemontese. Superbo sulla carne cruda all’albese e sull’insalata di funghi porcini od ovuli reali. Anche se il buongustaio lo vuole assaporare su un semplice uovo al tegamino.
Piatti che introducono infinite discussioni sulle qualità del tartufo bianco d’Alba. Avventurandosi, gli intenditori, a disquisire se sia migliore quello liscio, regolare delle sabbiose colline del Roero o quello bitorzoluto, nodoso, delle compatte terre di Langa.
Una cucina, quindi, che coinvolge e provoca i sensi, con quel retroterra di fantasie ammiccanti alle virtù afrodisiache del tartufo. Virtù, su queste colline, date per certe. Perchè i tartufi, queste “cite pugnà ‘d bej seugn” (piccole manciate di bei sogni), pur essendo mangiati crudi, sono fatti per riscaldare.
Storia & Leggenda
Non sono poche le sorprese che si incontrano nello sfogliare la storia del tartufo. Meraviglia la sua antichissima presenza nella cultura dei popoli mediterranei: se la Genesi ci tramanda la figura di Giobbe come di un gustatore di “dudaims”, ai Greci dobbiamo il termine “ydnon”, da cui deriva idnologia (scienza dei tartufi). Attorno al tartufo raduniamo poi i più bei nomi della cultura greca e latina. Plutarco considera il tartufo il frutto di un connubio fra le piogge, il calore e la terra. Plinio lo definisce “miracolo della natura”, “gioiello della terra”. Giovenale lo eleva a figlio del fulmine. Ma alle sue fortune non è sicuramente estranea l’attribuzione di presunte proprietà afrodisiache, in virtù delle quali il tartufo viene dedicato ad Afrodite, dea dell’amore.
Col Medioevo il tartufo conosce il silenzio e l’indifferenza. Estromesso dalla cultura ufficiale, il tartufo sopravvive nelle tradizioni popolari, per raggiungere poi in qualità di dono le tavole dei potenti. Ritorna protagonista col Rinascimento, insieme all’affermarsi di una vera e propria cultura del gusto e dell’arte culinaria. Ed il tartufo conosce gli onori delle corti più raffinate, imponendosi come elemento insostituibile dell’alta cucina.
E’ il Settecento a riscoprirlo dal punto di vista naturalistico e a far luce su tante fantasie. E’ in questo secolo, infatti, che si pongono le basi della scienza micologica. Al conte De Borch, naturalista polacco, dobbiamo la prima individuazione del tartufo bianco d’Alba, contenuta nelle “Lettres sur les truffes du Piémont” (1780), a cui fa seguito, dopo pochi anni, la definitiva classificazione di “tuber magnatum” (nell’intenzione però “magnatium”, ovvero “dei magnati”) per opera del piemontese Vittorio Pico.
Di qui in poi è un rincorrersi di sempre più circostanziati ed approfonditi studi e pubblicazioni, tant’è che già nel primo ottocento l’idnologia assume i caratteri di scienza.
La storia albese
Il tartufo entra nella storia dell’Albese in modo del tutto naturale, a testimonianza di un rapporto antico con la cultura e l’economia di Langa e Roero. Triffole o tartuffoli figurano infatti fra le spese che le varie Comunità sopportano annualmente per ingraziarsi feudatari o conti o per ammansire l’invasore di turno.
Ma il tartufo trova voce anche nei magri bilanci contadini allorché nel 1741 il conte Carlo Giacinto Roero di Vezza cerca di regolamentare tale materia. La Comunità vezzese protesta vigorosamente. Ai Bandi Campestri che stabiliscono che “chi sarà ritrovato a far cavi ne’ prati ed altri siti altrui per cavar triffole o sian tartufi cadrà in bando per cadun cavo di lire 0,10”, la Comunità contrappone l’interesse dei particolari, in quanto “questo si è un frutto dato dalla provvidenza a quei miserabili paesi di collina, col quale si soccorrono li poveri abitanti, mentre col prezzo loro supliscono in parte al pagamento de’ reggi tributi”.
Appare chiaro lo stretto legame del tartufo con l’economia contadina. Mentre si indovina una sua maggior diffusione, giustificata senz’altro dall’abbondanza di piante tartufigene e dalle cure all’epoca riservate ai boschi.
Della vivacità che, nell’Albese, da sempre anima il mondo del tartufo sono altresì testimoni le leggende, le fantasie che aleggiano sulle colline. Le “triffole”, secondo un’immagine cara alla cultura popolare, segnerebbero i sentieri delle fate e degli gnomi, mentre le loro forme irregolari e bitorzolute sarebbero dovute “al baticheur ëd le piante che a stan për andurmisse” (al batticuore delle piante che stanno per addormentarsi).
Ostentate e date per certe sono le proprietà afrodisiache delle “triffole”, per cui trova qui credito la tradizione che vuole la passione per i tartufi galeotta per l’incontro fra l’irrequieto Vittorio Emanuele II e la Bela Rosin. E, se così fosse, non a caso le Langhe ed il Roero sarebbero stati il teatro della loro storia d’amore.
La raccolta
Un uomo con il suo cane, la notte sulle colline. Questa, in autunno, è la quotidianità del trifulau, la figura più caratteristica del mondo dei tartufi.
Raccontato, ma mai descritto, il trifulau è infatti leggenda ed a lui si accompagnano abitudini antiche e misteriose. E’ un professionista e del professionista ha le movenze: il passo leggero ma sicuro, i gesti misurati, le parole giuste. Il trifulau sa quando cresce il tartufo, sa gli alberi e le terre che “li danno”, sa come incitare il “tabui” nella cerca e come ricompensarlo. E sa che un bel tartufo non ha prezzo.
La cerca avviene di notte: perché il cane è meno disturbato, ma anche perché il buio protegge da occhi curiosi.
Un po’ dovunque sulle colline si favoleggia di sgualciti calendari, su cui i trifulau annoterebbero con estrema precisione i luoghi, i giorni e le lune che hanno restituito i tartufi al freddo delle notti autunnali.
Egli si serve unicamente di uno zappetto o di un vanghetto e del cane, per lo più un umile bastardo addestrato con pazienza.
Il cane
I cani da tartufo non sono quelli di razza, bensì quelli “da pagliaio”, dalle genealogie incerte, frutto di centinaia di incroci, che hanno nel naso l’abitudine di fiutarsi attorno a cercare un po’ di cibo. Cani da tartufo si nasce, ma la scuola aiuta e disciplina gli sforzi. I corsi, che cominciano alla fine dell’inverno, durano solo pochi mesi, ma sono severi e soprattutto basati sulla fame. A forza di tozzi di pane non si ingrassa, ma il cane impara che i tartufi vanno al padrone.
Nell’addestramento il trifulau non usa la frusta, e neppure le botte: infatti, se il cane è abituato ad essere picchiato, appena avverte il tartufo scappa come di fronte ad un nemico. Invece deve associarlo al cibo, al tozzo di pane. Ma oggi anche a speciali biscotti integrali, concessi a ricompensa della cerca.
E se ogni paese dell’Albese conserva nella sua memoria il nome di un leggendario trifulau, è pur vero che sempre l’accompagna a un cane.
Fiere & Sagre
Per questo motivo, in autunno quando cresce e si sviluppa il pregiato Tuber Magnatum Pico, si tengono, in Piemonte, tante fiere che lo celebrano oltre alla più celebre Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba.
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